Museo Stibbert
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Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto

 

"Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto"

Inferno, canto XV


 

Frederick Stibbert non aveva ancora compiuto 27 anni quando a Firenze si celebrava il sesto centenario dalla nascita di Dante Alighieri, inaugurando il 14 giugno 1865 nell’appena restaurato Palazzo del Podestà l’Esposizione Dantesca, in cui in qualche modo anche il collezionista anglo-fiorentino venne coinvolto.

Il Bargello era stato scelto quale sede della manifestazione celebrativa poiché durante i lavori di restauro intrapresi a partire dal 1839, era stato ritrovato nella Cappella un affresco - allora attribuito a Giotto, ed oggi riferibile invece alla sua bottega - che raffigurava il sommo poeta fiorentino. Il ritrovamento degli affreschi giotteschi, attraendo personaggi illustri come John Ruskin, aveva destato nuova attenzione sull’antico monumento pubblico, che per il la sua storia comunale veniva anche ad incarnare in epoca risorgimentale un simbolo dell’indipendenza italiana.

Si pensò quindi di destinare il Palazzo del Podestà ad ospitare un nuovo museo nazionale di oggetti antichi medievali. In parallelo all’Esposizione Dantesca fu quindi proposta una mostra del Medio Evo, che coinvolgesse i collezionisti privati di armi ed oggetti artistici riferibili a questo periodo. Fu così che Frederick Stibbert venne direttamente chiamato a partecipare agli eventi per le celebrazioni dantesche, prestando per l'occasione ben 41 pezzi fra armature complete, scudi, mazze ferrate, spade, alabarde ed elmi.

Lo stesso giorno dell’inaugurazione della Mostra del Medio Evo, il 14 maggio 1865, si scopriva in piazza Santa Croce anche la statua di Dante, opera dello scultore Enrico Pazzi. La statua collocata di fronte alla basilica di Santa Croce, se da un lato rappresentò il necessario segno di espiazione dei fiorentini per l’esilio inflitto al poeta, dall’altro si caricò subito di una forte valenza simbolica: il “poeta della patria”, il simbolo vivente del riscatto nazionale. Dante rappresentava la cosciente riscoperta dei valori storici italiani e da qui l’attenzione verso il medioevo ed il Quattrocento.

Anche Frederick Stibbert non rimase indifferente alla figura del ghibellin fuggiasco”, non solo perché fece propri gli ideali risorgimentali, partecipando da volontario alla campagna del 1866 come guida garibaldina, ma da cittadino britannico sentì forte quel fascino che la figura dantesca esercitava anche sulla comunità inglese. Per gli anglo-fiorentini dell'Ottocento, impegnati nel recupero della cultura medievale, un legame indissolubile univa Dante a Firenze, un vagheggiamento per un'epoca ritenuta perfetta e felice ricercata anche da Stibbert fra le mura della sua casa-museo trasformata in castello.

Risale proprio a questi anni giovanili di Frederick, imbevuti ancora degli studi inglesi e animati non solo dalla passione collezionistica, ma anche da quella politica, l'interesse per la figura di Dante, oggi testimoniato nel museo da un busto del poeta realizzato dallo scultore Francesco Gajarini, ma soprattutto da una serie di copie della “Divina Commedia” illustrate e conservate nella sua biblioteca.

Il busto in marmo bianco raffigurante Dante Alighieri fu acquistato per 250 lire direttamente dallo scultore. Francesco Gajarini, nato a Contea presso Pontassieve e trasferitosi giovanissimo a Firenze per frequentare l'Accademia di Belle Arti, fu allievo di Ulisse Cambi e Lorenzo Bartolini. Collaborò fino al 1864 con lo scultore Giovanni Bastianini all'esecuzione del ritratto di Savonarola, e con Alessandro Tomba. Per Frederick Stibbert lavorò sin dal 1868 e un'altra sua scultura raffigurante il personaggio letterario di Bice del Balzo è ricordata anche dal De Gubernatis come "uno dei più belli ornamenti della Galleria Stibbert a Montughi".

Nella biblioteca oltre alle originali edizioni diamante – piccoli libri composti in caratteri minutissimi – della “Divina Commedia” e della “Vita Nuova”, troviamo tre fra le più celebri edizioni illustrate del poema dantesco, quelle di John Flaxman, di Gustave Doré e di Luigi Ademollo e Francesco Nenci.

 

La versione del disegnatore inglese John Flaxman (1755 – 1826) è composta solo da tavole illustrate realizzate da Flaxman durante il suo soggiorno italiano, fra il 1787 e il 1794. La serie, commissionata da Thomas Hope nel 1792, fu incisa nel 1793 da Tommaso Piroli, e venne pubblicata a Roma nel 1802 e successivamente a Londra nel 1807 con il titolo Compositions from the Divine Poem of Dante. L'edizione nella biblioteca del Museo Stibbert è invece incisa da Achille Réveil (1800-1851) e fu pubblicata a Parigi nel 1833.

In una lettera del 31 marzo 1793, la moglie di Flaxman osserva come le illustrazioni della “Divina Commedia” siano composte da disegni al tratto, senza ombre, in linea con il gusto gotico ed il sentimento del poeta. Infatti le figure di Flaxman sono tracciate con contorni precisi, riducendo al minimo l’atmosfera e gli elementi circostanti, enfatizzando la natura spirituale del viaggio dantesco nell’aldilà e cogliendo la drammatica essenza di ogni episodio.

 

L'edizione in folio della Commedia dantesca, illustrata da Luigi Ademollo (1764 – 1849) e da Francesco Nenci (1782 – 1850), fu acquistata da Stibbert nel 1870. La pubblicazione ripropone il testo degli Accademici della Crusca ed era stata stampata in un numero limitato di esemplari. Dedicata ad Antonio Canova, questa edizione presenta 125 incisioni in rame di gusto neoclassico e fu pubblicata a Firenze dall’Insegna dell’Ancora, in quattro volumi tra il 1817 ed il 1819, su progetto e commissione degli editori A. Renzi, G. Marini, G. Muzzi.

Ademollo, che aveva anche affrescato molti degli ambienti della Villa Stibbert, interpreta l'iconografia dantesca con un linguaggio espressivo carico di pathos, enfatico, moralizzante, antichizzante e rispettoso dei valori umani e cristiani. L’artista inventò, disegnò e incise, alternandosi con Giovanni Paolo Lasinio e forse con il padre Carlo, le 43 tavole della cantica dell’Inferno e 32 di quella del Purgatorio, facendo terminare il resto al più giovane collega Francesco Nenci, che terminò le illustrazioni fino al Paradiso. L'opera di Ademollo e Nenci seppur di gusto elegantemente neoclassico si apre ad atmosfere terrifiche nell’Inferno, e più intime e meditative nel Purgatorio e nel Paradiso. Grazie ai contrasti chiaroscurali ed a certe aperture sentimentali, le composizioni sembrano il perfetto punto mediano fra l'opera asciutta e lineare del nordico Flaxman e la visione pienamente romantica del Doré.

 

La versione forse più celebre della “Divina Commedia” nell'immaginario comune è quella illustrata dal pittore francese Gustave Dorè (1832 – 1883), realizzata nel 1861, fu acquistata da Stibbert nel 1868 come scrive egli stesso nella prima pagina di ogni volume. Le immagini sono caratterizzate da atmosfere lugubri ed inquiete, che incarnano magnificamente l'immagine che il pubblico ottocentesco aveva del poema dantesco e dell'epoca che lo aveva generato. Doré infatti contribuisce con la sua opera a rivalutare il Medioevo come uno dei momenti più alti dello sviluppo culturale europeo, secondo quell'ottica nazionalista radicata nel pensiero romantico. Nelle illustrazioni della Commedia di Doré i personaggi sono spesso sovrastati da un'ambientazione fantastica che sembra portare alle estreme conseguenze le concezioni del tardo Romanticismo.

 

Progetto a cura di Martina Becattini